Rapporto di Helsana: coronavirus
Assistenza medica durante la pandemia di coronavirus alla verifica dei fatti

Mentre in Svizzera si valutano ancora misure di contrasto al coronavirus e si discute di vaccinazioni e di appropriatezza delle agevolazioni, noi rivolgiamo per un attimo lo sguardo al recente passato: come è stata organizzata l’assistenza medica durante il primo anno di pandemia? I fatti possono smentire e al tempo stesso confermare le tante opinioni espresse a volte anche in maniera speculativa e mettono in evidenza come il coronavirus ha influito sulla nostra assistenza sanitaria.

Come se la sono cavata i pazienti con disturbi cardiocircolatori, patologie croniche o disturbi psichici? La loro situazione è peggiorata e hanno ricevuto una buona assistenza medica? Il rapporto sul coronavirus analizza con occhio critico l’assistenza sanitaria alla luce del coronavirus e fornisce nuovi fatti. Partendo dai dati anonimizzati di circa 1,4 milioni di assicurati Helsana, il rapporto svela in che modo la pandemia ha colpito i settori «cure mediche d’emergenza», «assistenza ai malati cronici», «salute psichica» e «trattamenti facoltativi». Tutti i dati e i numeri si riferiscono a tutta la Svizzera e quindi sono rappresentativi dell’intera popolazione. A integrazione di questo web report è possibile scaricare le analisi complete. Questa panoramica complessiva consente un dialogo oggettivo e costituisce il punto di partenza per ulteriori analisi.

 

Costi delle prestazioni e ospedalizzazioni Covid


1° lockdown
2° ondata
Prestazioni AOMS (mio. CHF)
Numero di ospedalizzazioni
Gen
Feb
Mar
Apr
Mag
Giu
Lug
Ago
Set
Ott
Nov
Dic
Fonte: UFSP, Helsana Helsana
Andamento dei costi legati all’assicurazione di base nel 2020 rispetto al 2019 e ospedalizzazioni confermate da laboratorio riconducibili a Covid-19. Tramite il menu è possibile mostrare/nascondere i diversi settori di prestazioni.

1. I costi non hanno subito variazioni significative nell’anno del coronavirus

Anche la Svizzera si è fatta cogliere un po’ impreparata dai moniti dell’Organizzazione mondiale della sanità nell’ultimo anno. In molti ambiti sono state imposte forti limitazioni alla vita privata, lavorativa e sociale per scongiurare un collasso del sistema sanitario.

Le autorità locali hanno dunque disposto un divieto di sei settimane ai trattamenti non urgenti, per lasciare liberi letti negli ospedali nonché risorse umane e diffuso numerosi appelli «stay at home» per arginare la diffusione del virus. Le misure hanno sortito il loro effetto: anche se in certi settori il servizio sanitario è arrivato al limite, persino durante la prima ondata ci sono sempre state capacità libere. Ma che ripercussioni ha avuto la pandemia sull’andamento dei costi? Da una prima stima del Consiglio federale, si calcolano circa 300 milioni di franchi in spese dirette per l’assicurazione di base dovute alle ospedalizzazioni e ai test per il Covid. A questi si aggiunge anche qualche decina di milioni di franchi per le spese ambulatoriali dei malati di Covid con sintomi.

 

  CHF

Costi dei test: ca. 50 milioni
Reparto letti per casi acuti: ca. 160 milioni
Reparto di terapia intensiva per casi acuti: ca. 90 milioni
Totale: ca. 300 milioni
Costi per gli assicuratori malattia legati alla pandemia. Non sono stati presi in considerazione i costi per i trattamenti ambulatoriali riconducibili a un’infezione da Covid. Fonte: Consiglio federale.

«Le valutazioni di Helsana non consentono di fare alcuna affermazione diretta rispetto al livello di assistenza sanitaria fornito. Sembra quantomeno plausibile che durante le sei settimane di lockdown il sistema sanitario abbia ridotto tanto il necessario quanto il superfluo. In generale, ci si domanda se per gli interventi elettivi e le cure di base vi siano state effettivamente limitazioni nel medio termine per l’assistenza fornita perché, valutando l’intero anno, si è recuperato gran parte del terreno perso.»

Prof. Dr. Milo Puhan. Direttore dell’Istituto di epidemiologia, biostatistica e prevenzione dell’Università di Zurigo

La società ha imparato a convivere con la pandemia

Le spese complessive dell’assicurazione di base sono rimaste pressoché invariate rispetto al 2019. Durante la prima ondata sono diminuite in misura significativa per via del divieto imposto ai trattamenti. I pazienti, inoltre, nutrivano grosse incertezze e per paura del contagio si mostravano molto prudenti. A questa prima fase ha fatto seguito un lento incremento dei costi. La seconda ondata non ha innescato un ulteriore crollo, pur essendo stata molto più violenta della prima. Si può quindi affermare che, nel corso dell’anno, il sistema sanitario e la popolazione hanno imparato a gestire la pandemia.

 

Per quanto riguarda invece i singoli settori di prestazioni mediche, i costi hanno avuto un’evoluzione diversa. Durante la prima ondata, tutti i settori hanno erogato molte meno prestazioni rispetto all’anno precedente. Nel periodo successivo, alcuni hanno riportato una flessione maggiore (ad es. medici di base oppure ospedali) mentre altri quasi non hanno registrato perdite (ad es. specialisti). In controtendenza, ad esempio, le prestazioni di laboratorio che hanno evidenziato addirittura un aumento.

 

 

Costi giovani e anziani

In linea di massima vale il principio secondo cui, con l’avanzare dell’età degli assicurati, aumentano la frequenza delle prestazioni sanitarie e i costi medi di queste persone.

Più giovani hanno percepito prestazioni mediche, ma con una minor frequenza e meno costose

In linea di massima vale il principio secondo cui, con l’età aumentano i trattamenti medici e con essi anche i costi medi. Una logica che ha trovato conferma anche nel 2020. A sorprendere semmai è quando si verifica il contrario: rispetto all’anno precedente, infatti, tra i più giovani (dai 20 ai 49 anni) si è registrato un incremento nella quota di «nuovi» aventi diritto, ossia persone con almeno una fruizione di prestazioni, mentre le spese medie per persona sono diminuite per questo gruppo d’età. Un effetto che potrebbe essere dipeso dalle sollecitazioni a sottoporsi a test da parte delle autorità e dalle limitazioni imposte alla sanità. In questo anno particolare, la flessione delle spese sarebbe stata ancora più significativa senza le prestazioni supplementari legate al coronavirus, in particolare tra i giovani e i giovani adulti.

Nel 2020, gli assicurati più giovani sotto i 10 anni hanno prodotto molti meno costi delle prestazioni rispetto all’anno precedente. Grazie alle maggiori attenzioni prestate dai genitori e alle più rigorose misure igieniche, questa fascia d’età ha avuto molte meno occasioni del solito di entrare in contatto con agenti patogeni. Ulteriori analisi indicano inoltre che anche le visite di routine e le vaccinazioni di base raccomandate sono state almeno in parte rimandate e che anche questo abbia contribuito a contenere i costi.

 

Le persone più anziane hanno rinunciato meno all’assistenza medica regolare

Da un’analisi integrativa, con esclusione dei costi relativi alle persone decedute negli anni presi a confronto, emerge quanto segue: nel 2020, i costi tra gli over 60 sono cresciuti costantemente. Con l’aumentare dell’età si fa anche più rilevante la differenza rispetto all’anno precedente. Le spese più consistenti si spiegano con il fatto che, essendo la parte più numerosa del gruppo di rischio, gli over 60 sono stati a lungo la fascia d’età più colpita dal Covid. Quindi, le cure intensive, prolungate e pertanto onerose a loro dedicate hanno avuto un’incidenza importante con l’avanzare dell’età. Inoltre, per quel che concerne l’assistenza regolare, le prestazioni accantonate sono state molte meno rispetto ai più giovani.

Differenza nelle prestazioni AOMS


Fonte: Helsana
Variazione nei costi delle prestazioni per assicurato tra il 2019 e il 2020 della popolazione globale, secondo fascia d’età, con e senza esclusione delle persone decedute.

2. In futuro, i consulti telefonici e i videoconsulti dovranno avere un ruolo più importante

Le limitazioni alla mobilità introdotte proprio all’inizio della prima ondata hanno indotto a trovare nuovi modi di comunicare. Un problema che non ha riguardato solo la vita privata e professionale, ma anche l’ambito dell’assistenza sanitaria.

In quest’ultimo caso, la (video)telefonia ha ricoperto un ruolo importante perché in molte situazioni ha permesso di mantenere il contatto tra pazienti e medici, fisioterapisti o psichiatri oppure di portare avanti le terapie a distanza.

 

I consulti tramite (video)telefonia sono possibili nonché richiesti

I consulti telefonici e i videoconsulti si sono rivelati importanti anche, ad esempio, per le cure mediche di base. Ne è una dimostrazione il consistente aumento di queste forme di consulti in particolare durante il lockdown e nei mesi successivi.

«Sono molte le lezioni utili che si possono apprendere in un periodo di crisi. Ed è proprio quello che è emerso palesemente in questi ultimi mesi. Anche se in alcuni casi sono state lezioni molto spiacevoli per la società e l’economia. Ora l’importante è non dimenticare quanto imparato di nuovo e sfruttarlo al meglio per i tempi a venire.»

Prof. Dr. Dr. Thomas Szucs. Presidente amministrativo di Helsana e direttore dell’Istituto di medicina farmaceutica presso l’Università di Basilea

In un periodo segnato da grandi incertezze e limitazioni alla mobilità, la telefonia si è rivelata un’alternativa essenziale per la fornitura di assistenza medica. Prima del coronavirus questi servizi venivano prestati limitatamente ma ora, in seguito alle esperienze positive raccolte nel 2020, bisognerebbe agevolarli. A tal fine servirà anche una tariffazione corrispondente. Le consulenze telefoniche consentono di gestire varie problematiche in modo efficiente anche senza presenza sul posto. Ad esempio, possono aiutare a fornire un’assistenza migliore e più efficace nelle aree rurali o ai pazienti con limitazioni alla mobilità.

 

Consulti con i medici di base nel 2020


1° lockdown
2° ondata
Gen
Feb
Mar
Apr
Mag
Giu
Lug
Ago
Set
Ott
Nov
Dic
Fonte: Helsana
Variazione nel numero di consultazioni a seconda del tipo di consulto per i medici di base.

3. L’assistenza medica ha saputo tener testa al coronavirus

Per scongiurare il sovraccarico del sistema sanitario, all’inizio della pandemia sono stati vietati tutti gli interventi, i trattamenti e gli esami non urgenti. Ci sono tuttavia alcuni casi clinici che non ammettono alcun rinvio delle cure e che non possono essere sospesi in seguito a restrizioni imposte dalle autorità.

Le nostre analisi si focalizzano su alcuni di questi «scenari» e indagano se il quadro assistenziale è cambiato nel corso della pandemia. Si tratta dei settori «cure mediche d’emergenza», «assistenza ai malati cronici», «salute psichica» e «trattamenti facoltativi». Mentre per i primi due non si prevede una variazione nel 2020 rispetto all’anno precedente, per il settore della salute psichica ci si attende un incremento legato al coronavirus e per i trattamenti facoltativi è attesa una flessione almeno temporanea.

Gli infarti cardiaci sono stati più frequenti nel 2020?

Le emergenze acute necessitano di un intervento medico immediato. Nel 2020, tuttavia, negli ospedali svizzeri sono stati trattati molti meno infarti cardiaci rispetto all’anno precedente.

Sebbene il calo sia stato particolarmente evidente soprattutto durante la prima ondata, è proseguito anche per il resto dell’anno. Il numero di casi registrati negli ospedali, per i quali sono stati eseguiti solamente accertamenti diagnostici, si è pressoché dimezzato nel corso dell’intero anno rispetto al 2019. Questo calcolo non include i casi in cui, nel quadro dell’ospedalizzazione, si è reso necessario un trattamento interventistico al cuore (ad es. dilatazione delle coronarie/impianto di stent).

 

Più le emergenze cardiocircolatorie acute erano gravi, più la diminuzione dei casi era contenuta. Lo stesso schema si è riproposto anche per le appendiciti. Più facilmente riconoscibili ed evidenti erano le emergenze gravi di carattere medico, più il numero di casi mostrava un andamento simile a quello dell’anno precedente. Si può dunque ipotizzare che nel 2020, in determinate situazioni, non sia stata prestata sufficiente assistenza nei casi più lievi con sintomi aspecifici. Dall’altra parte, ad esempio nei casi di appendiciti, è stato possibile trattare gli episodi meno gravi in ambito ambulatoriale. Migliorando il triage tra cure ambulatoriali e stazionarie si potrebbero evitare le ospedalizzazioni anche per le urgenze.

La netta diminuzione degli infarti cardiaci per i quali non sono stati necessari trattamenti di tipo interventistico è certamente legata a diversi elementi che hanno caratterizzato il 2020: da una parte, i pazienti con sintomi lievi o aspecifici non si sono recati in ospedale probabilmente per la paura di un eventuale contagio da Covid o per evitare di sovraccaricare inutilmente le strutture ospedaliere. Dall’altra, anche il personale medico frenava dove possibile sui ricoveri ospedalieri per gli stessi motivi. Inoltre, i consulti telefonici rendevano più complicata la formulazione di una diagnosi. Il rallentamento dei ritmi della vita quotidiana determinato dagli appelli a rimanere a casa si è tradotto per molte persone in una riduzione dello stress, aspetto che probabilmente ha contribuito alla diminuzione di questi infarti cardiaci. Le rigorose misure igieniche adottate hanno ridotto le infezioni delle vie respiratorie che, tra le altre cose, possono favorire l’insorgenza di un infarto cardiaco o di un ictus.

 

 

Ospedalizzazioni: infarti cardiaci



Fonte: Helsana
Cambiamenti negli infarti cardiaci trattati negli ospedali con e senza diagnostica invasiva.

«Come avvenuto per i contatti ambulatoriali, molti pazienti hanno evitato se possibile di usare le ambulanze o persino di farsi ricoverare in ospedale. L’effetto è stato amplificato dal fatto che ci sono stati meno consulti anche con i medici di famiglia e gli specialisti e di conseguenza anche le assegnazioni da parte di questi ultimi sono diminuite sensibilmente.»

Prof. Dr. Dr. Thomas Rosemann. Direttore dell’Istituto di medicina di base dell’Università di Zurigo

Sono proseguite le visite di controllo consigliate tra i malati di diabete?

Le persone affette da una malattia cronica come il diabete sono assidue frequentatrici degli ambienti ospedalieri.

L’approccio terapeutico dei diabetici non sembra risentire delle restrizioni imposte dalla pandemia tanto che, osservando l’intero anno, il loro percorso assistenziale è proseguito senza variazioni. Tuttavia, a seconda della visita di controllo consigliata, il 20-50% circa dei diabetici non ha avuto, proprio come lo scorso anno, un comportamento conforme alle linee guida oppure non ha ricevuto dal proprio medico un’assistenza conforme alle linee guida. Una percentuale di pazienti che si conferma sorprendentemente alta e fa pensare a un grande potenziale di miglioramento indipendente dalla pandemia.

 

Valore HbA1c (2 x/anno): -2,4 punti percentuali 77.3%

Glicemia a lungo termine. Valore target compreso tra 6,5% e 8,0%. Misurazione della concentrazione di glucosio nel sangue negli ultimi 2-3 mesi e relativa valutazione sulla compensazione del diabete. È ritenuto lo standard di riferimento nella diagnosi e nel controllo terapeutico del diabete al fine di ridurre il rischio di malattie conseguenti.


Valori lipidici: +1 punto percentuale 65.8%

Valore dei lipidi nel sangue. Serve per la diagnosi di disturbi del metabolismo lipidico. Valori negativi favoriscono, ad esempio, la formazione di depositi lungo le pareti vascolari. Consente di ridurre il rischio di problemi cardiovascolari attraverso l’assunzione di farmaci o un cambio del proprio stile di vita.


Funzionalità renale: -0,7 punti percentuali 47.5%

Concentrazione delle proteine nelle urine e livello di creatinina nel sangue. Misurazioni necessarie per la prognosi e il controllo del decorso della nefropatia diabetica (gravi danni ai reni).


Esame oculistico: -3,1 punti percentuali 45.9%

Individuazione di eventuali danni vasali nella retina e possibilmente nell’intero corpo. Visita di controllo dall’oculista per rilevare il prima possibile la presenza di eventuali alterazioni nella retina e contrastare in questo modo una lesione latente dell’occhio (ad esempio retinopatia diabetica, perdita della vista fino alla cecità). Il lieve calo registrato nei controlli oculistici si potrebbe spiegare con il fatto che, stando alle più recenti conoscenze scientifiche, possono essere eseguiti anche ogni due anni.


«Analisi interne basate su HbA1c e misurazioni della pressione arteriosa eseguite quotidianamente negli studi medici indicano una flessione nei controlli di routine proprio tra i malati cronici come diabetici o ipertesi. Questo particolare potrebbe passare inosservato nella presente analisi per via della prospettiva annuale. Per eventuali futuri lockdown sarà fondamentale non perdere di vista questi gruppi vulnerabili.»

Prof. Dr. Dr. Thomas Rosemann. Direttore dell’Istituto di medicina di base dell’Università di Zurigo

La pandemia ha determinato un aumento delle malattie psichiche?

La pandemia può aver esercitato una forte pressione sulla psiche di molte persone e anche i mass media hanno parlato spesso di un incremento delle sofferenze psichiche.

In generale, nell’ambito della psichiatrica ambulatoriale e della psicologia sono state dispensate più o meno le stesse prestazioni dello scorso anno. I dati relativi ai conteggi mostrano un’immagine più differenziata: siccome la pandemia ha avuto sia effetti negativi che positivi sul benessere delle persone, non è possibile tracciare una tendenza netta ma solo un parziale trasferimento tra gli ambiti di trattamento.

 

Più interventi per casi di crisi da parte degli psichiatri

Durante la prima ondata, caratterizzata da un’improvvisa limitazione della vita sociale ed economica, gli interventi degli psichiatri per episodi di crisi psichiche acute sono aumentati notevolmente; al contempo, però, sono diminuite le richieste di informazioni da parte dei medici di famiglia. Nel complesso, gli interventi per crisi sono più frequenti tra i medici di base che tra gli psichiatri. A questo riguardo, la flessione è stata molto più netta per i primi e gli psichiatri non sono riusciti ad assorbirla del tutto. Per quanto concerne quindi gli interventi per episodi di crisi, c’è stato un parziale trasferimento dall’assistenza di base a quella specialistica. Potrebbe esserci un nesso tra la diminuzione di interventi tra i medici di famiglia e la netta riduzione delle attività negli studi durante il lockdown. A questo si aggiunge che, in caso di crisi acuta, i pazienti tendevano a rivolgersi direttamente a uno psichiatra che aveva prestato loro assistenza già prima mediante videochiamate, semplificando di fatto l’accesso alle cure.

«C’è stato un cambiamento nel modo di prestare le cure: dalle visite in presenza si è passati ai consulti a distanza. Gli psichiatri si sono adattati a questo cambiamento più velocemente rispetto ai medici di base, in quanto psichiatria e psicoterapia sono predisposte per i consulti telefonici e i videoconsulti. Le persone assistite da medici di base e affette da gravi sofferenze psichiche come schizofrenia, disturbi bipolari, depressioni gravi o dipendenze complesse sono state particolarmente colpite dagli appelli a rimanere a casa e dalle restrizioni imposte a livello personale dalle autorità. Gli ostacoli alle cure sono diventati così ancora più ardui da superare rispetto al periodo pre-pandemico e probabilmente le persone coinvolte non hanno ricevuto una sufficiente assistenza medica durante il lockdown.»

Prof. Dr. Erich Seifritz. Direttore e primario presso la Clinica universitaria psichiatrica di Zurigo

Media settimanale di interventi per casi di crisi da parte degli psichiatri


1° lockdown
2° ondata
Fonte: Helsana
Interventi per casi di crisi tra gli psichiatri.

A differenza dei casi di crisi, i primi consulti psichiatrici-psicologici regolari devono svolgersi in presenza, un’attività resa molto difficile dagli ordini di rimanere a casa della prima ondata. Il numero dei primi consulti è quindi calato di quasi il 40% in questo periodo, mentre nella seconda ondata ha superato di poco il livello dell’anno precedente. Durante la prima ondata, l’assistenza psichiatrica regolare è stata garantita solo ai nuovi casi veramente gravi.

 

Bambini e adolescenti hanno sofferto molto

Bambini, adolescenti e giovani adulti così come persone ormai prossime all’età pensionabile hanno sofferto molto a livello psicologico a causa della pandemia e delle misure imposte. Rispetto all’anno precedente, hanno fatto un maggior ricorso a prestazioni. Queste fasce della popolazione sembrano essere state messe a dura prova dal punto di vista psicologico dalle conseguenze della pandemia. Le possibili cause in questo caso erano la paura di infettarsi o di trasmettere il virus nonché l’isolamento sociale imposto. A questo si aggiunge che, i posti in terapia adeguati per bambini e adolescenti scarseggiavano ancor prima della pandemia. A questo riguardo si può dunque supporre che i disturbi e le malattie di natura psichica riscontrati in questa fascia d’età non abbiano potuto essere trattati in maniera adeguata nonostante il maggior numero di consulti.

I trattamenti facoltativi sono stati annullati del tutto anziché solo rimandati?

Per loro natura, i trattamenti facoltativi sono prestazioni pianificabili e gestibili. Questo, tuttavia, non vuol dire che ci si può rinunciare completamente. Durante il lockdown è arrivato il divieto per i trattamenti medici non urgenti. Ci si aspetta quindi che queste cure o questi interventi vengano recuperati quanto prima.

 

Endoprotesi al ginocchio: capacità sufficienti per l’ortopedia

Dall’esempio delle endoprotesi al ginocchio appare evidente come gli specialisti abbiano ampiamente rispettato le direttive delle autorità rinviando o annullando la maggior parte degli interventi elettivi durante il lockdown. Dal confronto con l’anno precedente emerge anche che entro la fine dell’anno gli interventi rimandati erano stati quasi del tutto recuperati. Evidentemente c’erano capacità a sufficienza per mantenere il livello dell’anno precedente. Durante le ferie, trascorse per lo più in Svizzera o addirittura posticipate, sono stati eseguiti molti interventi, ben oltre la media. Ciò conferma l’ipotesi più volte espressa secondo cui in Svizzera ci sarebbe un eccesso di capacità nel settore dell’ortopedia.

 

Numero endoprotesi all’anca e al ginocchio



Fonte: Helsana
Cambiamenti negli interventi di endoprotesi al ginocchio.
 

Vaccinazioni: poco praticate contrariamente alle raccomandazioni delle autorità

Sebbene le vaccinazioni siano all’apparenza un trattamento facoltativo, non ci si aspetterebbe che la pandemia possa influire sui vaccini di base raccomandati dall’UFSP per i bambini piccoli. Genitori e bambini piccoli di solito non rientrano tra i gruppi a rischio che devono temere per le complicazioni di un’infezione da coronavirus. Inoltre, dalle autorità era giunta la comunicazione di proseguire con le visite di controllo o le vaccinazioni di base come da programma. Ciononostante, durante il lockdown si è registrata una flessione per alcune vaccinazioni. In particolare per le vaccinazioni di base pentavalenti prima del nono mese di vita (difterite, tetano, pertosse, Haemophilus influenzae di tipo b e poliomielite) così come per le vaccinazioni contro il morbillo, la parotite e la rosolia (MPR), a fine anno i bambini vaccinati contro i rispettivi rischi di malattia erano meno rispetto all’anno precedente.

 

Le maggiori cure prestate ai figli dai genitori e i minori contatti con gli altri bambini potrebbero portare a credere che un vaccino sia meno prioritario e che quindi possa essere rimandato. Al contrario, le vaccinazioni contro l’epatite B, che nella maggior parte dei casi sono somministrate ai bambini con la vaccinazione esavalente, e contro gli pneumococchi si sono attestate più o meno agli stessi livelli dell’anno precedente.

 

Vaccinazioni contro morbillo, parotite e rosolia per i bambini piccoli



Quelle: Helsana
Cambiamenti nelle vaccinazioni contro il morbillo, la parotite e la rosolia nei bambini fino a 2 anni di età.

«Di solito le vaccinazioni vengono fatte nell’ambito delle visite profilattiche raccomandate. Una diminuzione nelle vaccinazioni lascia presupporre un calo anche per le visite profilattiche. Queste ultime permettono, tra l’altro, di riconoscere tempestivamente ritardi nello sviluppo, sintomi di patologie gravi e altre problematiche e insieme alle vaccinazioni rappresentano una delle misure preventive più importanti nell’infanzia. Dobbiamo quindi impegnarci per fare in modo di recuperare le prestazioni di prevenzione e screening non fruite.»

Prof. Dr. med. Julia Dratva. Responsabile per la ricerca presso l’Istituto per le scienze della sanità pubblica della ZHAW

 

Screening oncologici: non si attende alcuna «epidemia tumorale»

Oltre che appartenere al gruppo di rischio per il coronavirus, le persone più anziane a partire dai 50 anni di età rientrano anche nel gruppo target principale per la prevenzione dei tumori. Durante la prima ondata, gli screening oncologici di routine tra gli adulti sono diminuiti sensibilmente per via delle limitazioni imposte ai trattamenti e degli appelli a rimanere a casa. Un fenomeno particolarmente marcato nel caso delle mammografie, dove si è arrivati a un meno 75%. Questa contrazione è continuata ancora per un po’ fino all’estate quando, tra le due ondate, sono state eseguite di nuovo più visite di controllo rispetto all’anno precedente. Si potrebbe pensare che le visite profilattiche siano controlli temporaneamente rimandabili. Tutti e tre gli screening oncologici esaminati, tuttavia, non hanno più raggiunto nel corso dell’anno il livello dell’anno precedente: per gli screening di tumore al seno, all’intestino e alla prostata si è registrato un calo compreso tra il 3 e il 7% circa.

 

Idealmente, la pandemia ha portato a un’ottimizzazione del processo di triage, in quanto gli screening sono stati effettuati solo per le fasce d’età raccomandate e, nel caso della prostata, dopo previo processo decisionale con il paziente stesso. Se in futuro gli screening verranno utilizzati ancor meglio sulla base di fattori specifici per i rischi, si dovrebbe riuscire a ridurre il numero degli esiti falso positivi, che rappresentano sempre un fattore di stress per chi li riceve.

 

Screening per il cancro al seno


1° lockdown
2° ondata
Fonte: Helsana
Numero di mammografie eseguite.

4. Conclusioni

Non sono soltanto la medicina e l’assistenza sanitaria a giocare un ruolo fondamentale per la salute, anche i comportamenti individuali e le condizioni di vita hanno un influsso rilevante in tal senso. Questo indipendentemente dalle risorse finanziarie e materiali messe a disposizione del sistema sanitario. L’atteggiamento delle persone è cambiato a causa del coronavirus. Tanto per fare un esempio, in molti casi il livello di stress si è ridotto e la maggior attenzione verso le norme igieniche e il distanziamento ha portato a un minor numero di infezioni alle vie respiratorie. Questi fattori hanno effetti positivi su una serie di patologie.

 

Nonostante tutte le analisi, i numeri «nudi e crudi» in sé dicono ben poco sull’entità e sulla qualità dell’assistenza medica. Quel che conta è garantire l’accesso alle strutture indispensabili per cure e terapie anche in un periodo segnato da limitazioni. Bisogna evitare che esami importanti, misure preventive o interventi vengano trascurati e che nel lungo termine le malattie possano aggravarsi. Le analisi suggeriscono che il sistema sanitario è riuscito in buona parte ad arginare l’enorme impatto del coronavirus e a fornire assistenza medica nonostante tutte le difficoltà. Il rapporto di Helsana sugli effetti della pandemia di coronavirus sull’assistenza sanitaria svizzera offre un primo punto della situazione. Ora devono seguire altre analisi approfondite. L’obiettivo di questo rapporto è gettare le basi per i necessari sforzi e le necessarie discussioni in merito nonché fungere da ulteriore stimolo. Bisogna quindi ricavare da questo lavoro qualsiasi nozione utile che possa contribuire alla promozione di un’assistenza sanitaria ben strutturata e sostenibile per tutti in Svizzera.

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